Il cosiddetto vincolo fiduciario è alla base del rapporto tra dipendente e datore di lavoro. È sufficiente una bugia per farlo venire meno?
Il fatto
Il caso che analizziamo in questo articolo, riguarda un lavoratore che ha impugnato il licenziamento, intimatogli per aver mentito al proprio datore di lavoro, fino alla Cassazione che ha confermato la legittimità del provvedimento. Tutto è nato dalla giustificazione, fornita telefonicamente, per non essersi presentato al lavoro.
Basta una bugia?
La gravità della menzogna raccontata, sta nel fatto che il lavoratore ha giustificato la sua assenza motivandola con dei problemi di salute della propria compagna; aveva inoltre rassicurato l’azienda sul fatto che, in caso di necessità, si sarebbe comunque recato al lavoro. In realtà il dipendente era partito il giorno prima con un aereo, allontanandosi così dalla provincia in cui lavorava ed era quindi consapevole che l’indomani non sarebbe andato a lavorare.
La decisione dei giudici
Il tribunale ha confermato la fondatezza del licenziamento in tutti e tre i gradi di giudizio. La Cassazione, con l’ordinanza n. 30613/2024, ha evidenziato che in questo caso non si è trattato di una semplice assenza ingiustificata, bensì di un vero e proprio abuso di fiducia che giustifica l’espulsione del lavoratore, anche perché quest’ultimo ricopriva il ruolo di responsabile nel punto vendita in cui lavorava.
Conclusioni
Al fine di non ledere il vincolo di fiducia con l’azienda, il dipendente deve sempre preoccuparsi di comportarsi con la massima trasparenza e deve evitare di raccontare bugie al proprio datore di lavoro. Come abbiamo visto, mentire al capo può costare il posto di lavoro, anche se lo si fa una sola volta.