Con l’entrata in vigore della Legge n. 203 del 13 dicembre 2024, anche conosciuta come Collegato Lavoro, cambiano le regole per le dimissioni per fatti concludenti. Una recente circolare del Ministero del Lavoro (n. 6 del 27 marzo 2025) chiarisce come devono comportarsi datori di lavoro e dipendenti in caso di assenza ingiustificata dal posto di lavoro.
Cosa sono le dimissioni per fatti concludenti?
Si parla di dimissioni per fatti concludenti quando un lavoratore si assenta dal lavoro senza giustificazioni, facendo intendere – con il proprio comportamento – la volontà di non voler più proseguire il rapporto. Un tempo questo comportamento portava al licenziamento del lavoratore assente, che, di conseguenza, poteva accedere alla NASpI.
Quanto tempo deve passare?
La novità più importante è questa: se un lavoratore resta assente ingiustificato per più di 15 giorni, e il contratto collettivo nazionale (CCNL) non prevede un termine diverso, il datore di lavoro può considerare il rapporto risolto per volontà del dipendente.
In pratica, l’assenza prolungata viene letta come una dimissione non formalizzata ma comunque evidente nei fatti.
Attenzione: vale solo se il CCNL non dice altro
Se il CCNL applicato in azienda stabilisce un termine più lungo (es. 30 giorni), va rispettata quella regola. I 15 giorni sono intesi come il minimo legale, ma si applicano solo in assenza di condizioni contrattuali più favorevoli per il lavoratore.
Qual è la procedura per il datore di lavoro?
Il datore di lavoro deve:
- Aspettare i 15 giorni di assenza ingiustificata (o il termine previsto dal CCNL);
- Comunicare il fatto all’Ispettorato del Lavoro (INL);
- Inviare la comunicazione obbligatoria al Ministero del Lavoro, usando i canali ufficiali.
Una volta ricevuta la comunicazione, l’INL può decidere di fare verifiche per accertare che tutto sia avvenuto correttamente.
Quando NON si applica la risoluzione automatica?
La legge tutela il lavoratore nei casi in cui:
- L’assenza è dovuta a cause di forza maggiore (esempio: malattia improvvisa);
- Il lavoratore non ha potuto avvisare per cause imputabili al datore di lavoro
Solo in questi casi, se il dipendente può dimostrare la validità della sua assenza, il rapporto di lavoro non si considera concluso e può essere ricostituito.
Dimissioni o procedimento disciplinare?
Attenzione: il datore di lavoro non è obbligato a rispettare questa procedura. Infatti, dato che molti CCNL prevedono un termine inferiore a 15 giorni di assenza ingiustificata per far scattare il licenziamento disciplinare, l’azienda può scegliere se:
- Procedere con una contestazione disciplinare (licenziamento per giusta causa);
- Oppure attendere il termine di 15 giorni per attivare la procedura di dimissioni per fatti concludenti.
Sono due strade distinte, con effetti differenti.
Cosa succede alla retribuzione e ai contributi?
Durante il periodo di assenza ingiustificata, il datore di lavoro:
- Non è tenuto a pagare lo stipendio;
- Non deve versare i contributi previdenziali;
- Può trattenere l’indennità di mancato preavviso;
- Non è dovuto il ticket di licenziamento.
E se il lavoratore vuole dimettersi per giusta causa durante l’assenza?
C’è un altro scenario da considerare: il lavoratore assente ingiustificato potrebbe decidere di dimettersi per giusta causa durante il periodo in cui si trova lontano dal lavoro. Questo accade, ad esempio, quando l’assenza non è casuale, ma è legata a comportamenti gravi del datore di lavoro (mancato pagamento dello stipendio, mobbing, trasferimenti punitivi, ecc.).
In questi casi, le dimissioni per giusta causa devono essere formalizzate dal lavoratore secondo la procedura telematica prevista dal Ministero del Lavoro, attraverso il portale ufficiale o con l’assistenza di un patronato o di un sindacato.
Attenzione: se il lavoratore riesce a dimostrare che l’assenza era conseguenza diretta di una situazione lavorativa insostenibile, e quindi legittimata da una giusta causa, non si applica la risoluzione automatica per fatti concludenti. Anzi, può scattare il diritto alla NASpI, cosa che normalmente non avviene in caso di dimissioni volontarie.