I giudici della suprema corte di Cassazione, sanciscono un importane principio con l’ordinanza n. 25191 del 24 agosto 2023 riguardante il giusto e dovuto danno morale da infortunio o malattia professionale.
Malore e perdita del lavoro
Nel caso oggetto di materia giuridica, il dipendente di un’azienda del trasporto pubblico aveva accusato un infarto da stress per il quale era stato sottoposto ad un triplice e delicato intervento di bypass, a seguito del quale è risultato non idoneo a qualsiasi attività lavorativa ed ha dunque citato in giudizio il datore di lavoro.
Il Tribunale ha accolto l’istanza del lavoratore ed ovviamente, contro tale decisione, il datore di lavoro ha proposto ricorso in appello.
I giudici di appello rigettavano il ricorso dell’azienda di trasporto, accogliendo quello dell’ex dipendente. Per la Corte sussisteva infatti la responsabilità del datore che aveva destinato il lavoratore a turni pesanti, carichi di lavoro eccessivi ed orari impossibili.
La malattia professionale era derivata quindi da superlavoro ed è risultata talmente tanto invalidante da riconoscere quindi all’ex autista un’inabilità assoluta al lavoro attribuita alla responsabilità del datore di lavoro.
L’Appello, tuttavia, aveva riconosciuto al lavoratore il danno differenziale, ma non il danno morale, motivando in ragione assenza di prove al riguardo.
La decisione della Cassazione
La Cassazione, entra quindi a gamba tesa, intervenendo sul tema del risarcimento per danno morale, ribadendo che “… a fini liquidatori, si deve procedere a una compiuta istruttoria finalizzata all’accertamento concreto e non astratto del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, valutando distintamente, in sede di quantificazione del danno non patrimoniale alla salute, le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera danno morale..” quali la dignità ed il dolore soggettivi della vittima, ovvero a quei pregiudizi interiori quali il dolore, la vergogna, la disistima di sé, la paura etc.
Nel caso di specie, è innegabile che il lavoratore abbia provato sofferenze, paure e vergogna dal punto di vista morale, essendosi visto praticare tre interventi di bypass, rischiando la vita ed essendo stato dichiarato inidoneo a svolgere qualsiasi altra attività lavorativa.
I giudici della Suprema Corte, nel rigettare, quindi, il ricorso del datore di lavoro ed accogliendo il ricorso dell’ex lavoratore, hanno ricordato che occorre considerare, come, secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale in tema risarcitorio del danno non patrimoniale, si debba valutare sempre in ugual misura l’aspetto interiore del danno (danno morale) ed il suo impatto modificativo peggiorativo nella vita quotidiana (danno esistenziale e danno alla vita di relazione), facendone oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile.
Per queste ragioni il datore veniva, in ultimo grado, condannato al pagamento del giusto danno morale in favore dell’ex dipendente.