Il problema spinoso e sempre attuale nel comparto della vigilanza privata, per meglio essere compreso, necessita di una veloce introduzione di quelle che sono le leggi ed i principi enunciati dalle norme stesse.
Le linee di principio generale ed il quadro normativo
La locuzione latina intuitu personae, da tradurre con l’italiano “avuto riguardo alla persona”, indica, nel linguaggio giuridico quei negozi (manifestazioni di volontà) nei quali si ritengono di particolare rilevanza le qualità personali dei soggetti contraenti. Tali contratti, in quanto basati sulla fiducia personale, sono intrasmissibili e solitamente si ritengono estinti con la morte di uno dei contraenti.
L’espressione fa riferimento a un rapporto bilaterale (vi sono diritti e obblighi da entrambe le parti) e vi rientrano i contratti di lavoro subordinato, i contratti d’opera, di appalto, e di mandato.
L’affidamento intuitu personae è dunque proprio delle attività dei privati e sempre più limitato invece per le amministrazioni pubbliche, che nello spendere il denaro dei contribuenti, devono garantire per legge l’equità e l’imparzialità delle scelte; la doverosa premessa è utile a configurare questo argomento nella prassi quotidiana e per comprendere l’interposizione fittizia di manodopera.
Questo “negozio giuridico” pertanto è continuamente sotto esame del legislatore che ha tentato di normarlo già dal lontano 1960, con la legge n° 1369 del 23 Ottobre, ponendo di fatto un limite a tale fattispecie di attività, indicando come idonea configurazione quella situazione in cui l’appaltante forniva mezzi, capitali ed attrezzature all’appaltatore. Torniamo ancora più indietro se parliamo di intermediazione illecita, come il caporalato in agricoltura e nelle maestranze edili, già trattati nell’art. 41 della Costituzione.
La garanzia della solidarietà del committente e del subappaltatore delineata dall’art. 29, comma 2 del Dlgs 276/2003 per i crediti da lavoro, (ora anche autonomo, ndr), dà luogo ad una serie notevole di questioni processuali, che risultano complicate dalle innumerevoli modifiche introdotte nel corso del tempo all’interno della stessa disposizione; la quale appare ora complessivamente rivolta a salvaguardare più il committente che a tutelare il lavoratore, nonostante questi sia oggi sempre più utilizzato all’interno di processi produttivi frammentati che prevedono il frequente ricorso a catene di appalti e subappalti e pertanto quando un lavoratore chiede ciò che non è stato pagato dalla sua azienda per varie motivazioni, dovrà sicuramente tenerne conto.
Definizione del fenomeno e sua attuazione
Ci si riferisce a tutti i casi in cui un soggetto terzo si trovi a fornire dei propri dipendenti a un’altra impresa dietro compenso. Sempre più spesso le imprese, specialmente quelle di grosse dimensioni, stipulano con altre imprese più piccole o con società cooperative contratti di appalto per l’esecuzione di prestazioni e/o servizi endoaziendali. In buona sostanza, un’impresa mette a disposizione di un’altra il proprio personale, tramite un contratto, per svolgere attività integrate nel contesto aziendale dell’appaltante. L’impiego di tale manodopera, anche se avviene nell’applicazione di un contratto, spesso può risultare illegittimo ed in particolare se si esercitino interventi dispositivi e di controllo sul personale della ditta appaltante, rendendola di fatto “interposizione fittizia di manodopera”.
Seppure abbiamo nel DM 269/2010, evidenti riferimenti alla “terzietà” delle Guardie Particolari Giurate in servizio per motivi di sicurezza, non è raro che il fenomeno di interposizione illecita di mano d’opera faccia capolino nella vita di tutti i giorni degli addetti ai lavoratori, con disposizioni dirette senza passare per azioni di coordinamento tra la società appaltante e quella appaltatrice e persino nel controllo degli stessi. Un altro metodo è quello della scelta dei lavoratori applicati nell’appalto, aspetto molto più frequente e controverso se si esercita appunto la “intuitu personae”, scegliendosi i lavoratori da adibire nel servizio.
Come difendersi nel caso concreto
Purtroppo anche le aziende fornitrici di servizi o altro, non si curano concretamente del fatto di stipendiare dipendenti che agiscono più per conto della clientela, l’importante è mandare fattura ed essere pagati il più presto e bene possibile, sembra pertanto logico che la questione si limiti a questo, senza troppe illusioni. Del resto quando invece sono i lavoratori a mettere in concreto tale condotta, svolgendo anche volontariamente mansioni e/o attività che possano compiacere il cliente, azioni delle quali il lavoratore stesso renderà conto se frutto della propria condotta o determinazione nelle azioni quotidiane, incoraggiando di fatto la clientela a perseguire quel metodo di gestione delle risorse applicate all’appalto, compiendo comunque una condotta illecita.
Del resto, il già citato DM 269/10, norma questi aspetti in concreto stabilendo che ogni azione che l’addetto alla sicurezza deve compiere quotidianamente, siano in concerto quantomeno con la Sala Operativa dell’Istituto o della Direzione Operativa, a secondo dell’organizzazione del lavoro aziendale, ma chiaramente frutto di trattazione tra i due soggetti, che ricadranno legittimamente sul mero esecutore. Sono fondamentali per questo ed altri motivi le famose “disposizioni di servizio” a cui bisogna attenersi scrupolosamente, segnalando se necessario ai soggetti con funzioni direttive e gestionali, azioni e richieste che possono anche distogliere il personale dai propri compiti o darne di diversi.
Fin qui non ci sarebbe dolo, ma se le azioni messe in atto producono effetti negativi o contrari allo scopo del servizio svolto, non ci sono scriminanti se non c’è dovuta prova di aver ricevuto una direttiva frutto di concertazione con l’azienda. Sembra scontato che gli effetti delle azioni ricadranno solo sull’esecutore a meno che non riesca a dimostrare il contrario.
Speriamo si intervenga finalmente in questo senso, ma le cattive abitudini insieme all’inosservanza dei principi, sono dure a morire. Di scottante attualità, da sempre questo fenomeno non trova fine né controllo, forse perché siamo presi da molte altre criticità da affrontare e risolvere, ma questo si tramuta in una quotidianità che si articola sulla pelle dei lavoratori, almeno di coloro che vogliono rispettare e far rispettare le regole ed i principi stessi.