Saper cogliere i segnali di cambiamento della società, da sempre è una capacità di adattamento fondamentale per il funzionamento dello stato moderno, specie nella realtà dei nostri tempi in cui i cambiamenti arrivano a stretto giro e non collimano con cicli economici e sociali. I primi, quelli economici, sono ancorati alle teorie dei fondatori e degli studiosi della scienza e non ultimo alle esigenze del mercato, ma anche a caratteri culturali peculiari delle società del nostro tempo che cercano di adattarsi ed orientarsi verso modelli, spesso imposti dalle risultanze delle idee dominanti o dei modelli ritenuti più efficienti.
L’ibridazione di tali modelli con le nostre consuetudini, spesso porta a momenti in cui i cambiamenti sono epocali e le vecchie convinzioni fanno fatica a lasciare il posto alle nuove. Lo vediamo nel nostro paese, da sempre stratificato nel suo tessuto economico di piccole e medie realtà, mentre l’adozione di altri orientamenti vuole portare alla crescita della grande impresa. Subiamo da secoli ormai il fascino del dinamismo e della praticità delle culture anglosassoni.
Sono tanti e ben solidi i legami col passato, al punto che l’innovazione seppure prorompente e dilagante, deve comunque fare i conti con secoli di convinzioni sui modelli di pensiero o culturali. Già Napoleone omise di trattare con spirito innovativo, contro le sue stesse idee post rivoluzionarie, il lavoro e la famiglia nella stesura del nuovo codice civile, poi adottato nei caratteri generali nell’intera area latino-germanica europea.
Il lavoro femminile e la parità di genere
Se guardiamo i dati e le statistiche, il nostro paese non brilla per efficienza nell’impiego delle donne nel mondo del lavoro, a differenza degli altri stati europei dove l’occupazione femminile è sicuramente più alta. Perché ci si deve preoccupare di questo aspetto? Semplice… in macroeconomia, il rapporto tra popolazione attiva e forza lavoro totale è strettamente correlato con l’andamento di crescita del prodotto interno lordo (PIL). Il lavoro femminile integra la prospettiva della numerosità degli occupabili disponibili nel mercato del lavoro, rafforzando anche il potere contrattuale dei lavoratori ed introducendo al tempo stesso nuovi potenziali consumatori che richiedono un aumento della produzione e quindi anche della ricchezza.
Seppure non esistono contratti collettivi che prevedono un diverso pagamento del lavoro delle donne rispetto agli uomini, come avveniva in un lontano passato, il problema sociale delle lavoratrici riguarda anche l’accesso a posizioni di prestigio, aspetto che la popolazione femminile denuncia da diverso tempo. Le donne rispetto agli uomini hanno sicuramente un salario di riserva superiore, dato dal fatto che non hanno retribuzione per lo svolgimento del loro lavoro di mamme, solo per fare un esempio. È talmente ovvio questo meccanismo che può sfociare anche nel banale, ma così non è, in quanto le variabili che scoraggiano tale indirizzo possono essere molteplici, ma sicuramente indica un percorso che deve essere preso, proprio per l’ovvietà del meccanismo stesso che deve essere sostenuto anche dalle politiche sociali del paese e attraverso la detassazione del lavoro femminile per le imprese. Qualcosa è stato fatto, si deve perseguire di più e meglio questo aspetto così ovvio per migliorare le cose, l’occupazione femminile registra infatti, nel 2023, una crescita dell’1,6%, leggermente inferiore a quella degli uomini (+1,8%). La legge di bilancio 2021 ha riconosciuto a tutti i datori di lavoro privati un esonero contributivo del 100%, nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro annui, per le assunzioni di donne lavoratrici svantaggiate effettuate nel biennio 2021-2022. La legge di bilancio 2023 ha confermato l’esonero.
Disallineamento tra domanda ed offerta di lavoro per i giovani
Un altro grande problema che si è ormai affacciato nel mercato del lavoro, è la difficoltà di reperire nuovi lavoratori da inserire nel mercato, in particolare i giovani, che in quanto figli del loro tempo, non si affacciano più alle attività occupazionali come avveniva in passato. Abbiamo parlato di salario di riserva per le donne, figuriamoci quanto sia importante questo aspetto per chi non ha un obbligo morale o sostanziale di procurarsi un lavoro.
I giovani d’oggi hanno prospettive diverse dalla generazione che li ha messi al mondo, anche perché da essa sono incoraggiati a migliorare le loro posizioni, assumendo un pensiero che tende a non “sminuirsi” applicandosi ad attività che secondo loro non sono adeguate alle proprie aspettative. Tenuto conto che il nostro sistema contributivo fino agli anni 70-80 aveva un andamento piramidale, dove alla base c’era la forza lavoro attiva ed al vertice i pensionati, oggi la tendenza è specularmente inversa considerato che nel 2022 in Italia c’erano quasi 15,8 milioni di pensionati, considerando i percettori tutti i tipi di pensione, mentre gli occupati erano circa 23,1 milioni. Questo è sicuramente un campanello d’allarme, amplificato anche dal calo demografico oltre che dai diversi soggetti che lavorano.
All’orizzonte, da almeno un paio d’anni a questa parte, si è affacciato il problema etico delle applicazioni dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro, che richiederà elevatissimi standard formativi per le nuove generazioni per restare al passo con questo nuovo fenomeno. L’inferenza riguarda i ruoli altamente qualificanti a livello gestionale e non riferiti ai ruoli di basso profilo, ipotesi che configura altre preoccupanti implicazioni relativamente alla gestione delle risorse umane nel mondo del lavoro. Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 13,4% nel 2023 (22,7% nella fascia 15-24 anni e 10,3% in quella 25-34) indica una dinamica positiva, registrando una flessione di 1 punto percentuale rispetto al 14,4% del 2022, ma per quanto espresso nel precedente paragrafo in fatto di natalità, bisogna migliorarsi.
Ad oggi l’80% circa, dei lavoratori interessati alle piattaforme di lavoro gestiste “artificialmente”, si trovano in Europa rispetto al globale mondiale. Il caso emblematico è quello dei rider, che ha aperto la via alle applicazioni nella gestione del lavoro connesso all’IA. L’algoritmo che attribuisce le consegne, premia la continuità del prestatore di lavoro che si compensa con la rendita della prestazione lavorativa stessa, in parole povere, non c’è possibilità di potersi applicare in servizi convenienti ma anche in attività meno favorevoli ai guadagni del lavoratore.
Tornado alle aspettative dei giovani, ma anche a quelle degli occupati, ad oggi si inizia a prendere in esame un nuovo concetto di tempo dedicato al lavoro, ci riferiamo alla sperimentazione sulla settimana corta lavorativa presso aziende che sono l’eccellenza sul panorama nazionale, Lamborghini, Ferrari, Luxottica, solo per fare alcuni nomi. Questi esperimenti terranno a dimostrare il raggiungimento degli obbiettivi con un buono aumento della produttività che incoraggia l’implementazione di questa nuova mentalità. Nel pubblico e privato il post pandemia ha incoraggiato anche lo smart working, infatti Enel ed altri iniziano ad attuare queste soluzioni. Il tempo libero per i giovani, ma anche per gli occupati, è un richiamo irresistibile e troppo affascinante per non volerlo acquisire come diritto.
Chiaro è che il sindacato oggi deve porsi questi interrogativi, portando queste argomentazioni nelle trattative per i rinnovi dei contratti collettivi. Il giusto connubio tra lavoro e tempo libero implica anche una rivisitazione degli orari settimanali di lavoro, portando una effettiva riduzione a 36h settimanali rispetto alle attuali 40h, oppure adottando una flessibilità diversa da come l’abbiamo sinora vista, spalmando le prestazioni lavorative con limiti giornalieri che allineino il dare ed avere in termini ragionevoli. Questo aiuterebbe anche il settore della vigilanza privata, che richiede impegno nei fine settimana e nelle festività, quando lavorare è detestabile per il tempo tolto alla famiglia.
Il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro e la partecipazione dei lavoratori
Non è chiaro per chi scrive, se il governo abbia già preso in esame al fine di stimolare produttività e consumi, l’opportunità di premiare quelle realtà che rinnovano i contratti collettivi detassando gli aumenti di paga, se il rinnovo è stato prossimo alla scadenza. Le pressioni politiche sul salario minimo legale ed il lavoro povero, possono anche tenere conto di queste nuove ipotesi se si vuole difendere il diritto alla contrattazione collettiva come il perno che regola il mercato del lavoro. Allo stesso modo, va invece contrastato il procrastinare inconcludente dei mancati rinnovi, come UGL Sicurezza Civile ha già ipotizzato nel nostro comparto, con una robusta vacanza contrattuale poi implementata ad ogni anno successivo senza il rinnovo dei contratti. Crediamo che non bisogna appiattirsi solo su questi aspetti, ma che ci può essere altro…
Dopo la discesa in campo del diritto costituzionale (e della magistratura) nel rinnovo del CCNL Vigilanza Privata e Servizi Sicurezza, perché non affrontiamo anche la previsione dell’art.46 della costituzione, che recita; “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Questo può avvenire in almeno 4 forme, singolarmente o in concorso tra loro:
- quella di tipo “organizzativo/gestionale”, da intendersi come presenza di una rappresentanza dei lavoratori all’interno degli organi di controllo e decisionali dell’azienda (es. presenza di un rappresentante indicato o eletto dai lavoratori all’interno del Consiglio di Amministrazione);
- quella di tipo “informativo/consultivo”, che può essere considerata come il diritto dei lavoratori (o meglio, dei loro rappresentanti) alla conoscenza dei piani aziendali passati, presenti e futuri, anche come condizione vincolante rispetto alle decisioni da assumere, con altresì possibilità di elaborare suggerimenti e controproposte;
- quella di tipo “economico”, che mira a far partecipare i lavoratori meritevoli dei risultati e del benessere dell’azienda, promuovendo una parziale redistribuzione degli utili aziendali sulla base delle prestazioni effettivamente svolte dagli stessi lavoratori, rendendoli partecipi del successo dell’azienda;
- quella di tipo “finanziario”, con la possibilità di accedere ad un azionariato diretto dei dipendenti delle aziende per cui lavorano, in modo da indirizzarle anche verso un assetto proprietario più condiviso, con forte responsabilizzazione e creazione di spirito d’appartenenza in capo ai singoli lavoratori.
Il Diritto Costituzionale ci è venuto in soccorso nella tremenda congettura degli 8 anni senza contratto, forse da esso possiamo ancora una volta trarre un positivismo che ci permetta di guardare oltre l’orizzonte denso di sfide che abbiamo cercato di sintetizzare con questi pensieri. Approfondiremo e se necessario rivisiteremo tutte le istanze che ci arrivano dai lavoratori… pensiamo di meritarci un futuro migliore, anche a difesa del nostro modo di vivere.