Le origini dell’organizzazione sindacale
L’embrione del sindacalismo come lo conosciamo oggi risale al XIX secolo. La lotta di classe e le condizioni di vita della classe operaia sono tra le motivazioni principali per cui i lavoratori decisero di organizzarsi ed associarsi.
In Italia i primi tentativi di organizzare qualcosa che assomigliasse ad un sindacato risalgono a quando l’Italia era ancora suddivisa in Regni. Difatti, dopo i moti rivoluzionari del 1848, si diffusero le società di mutuo soccorso e nel 1853, ad Asti, si tenne il primo congresso annuale.
Lo sviluppo industriale è sicuramente un altro dei motivi fondamentali per cui sono nate le organizzazioni sindacali, ed anche in questo caso, l’Italia è arrivata in ritardo rispetto ad altri paesi come per esempio il Regno Unito.
Solo alla fine del XIX secolo, a fronte del rapido processo di industrializzazione e con l’unità nazionale, il sindacalismo italiano iniziò ad evolversi, soprattutto nel nord Italia.
In quel periodo nacquero le prime Camere del Lavoro che, agli albori, riunivano lavoratori in base all’area geografica senza fare distinzioni tra i vari mestieri e neppure tra occupati e disoccupati.
Le Camere del Lavoro furono interessate da una scissione da cui nacque nel 1914 l’Unione Italiana del Lavoro (UIL) e successivamente nel 1918 la Confederazione Italia del Lavoro Italiana (CIL, quella che diventerà l’attuale CISL).
Nascita del corporativismo
All’inizio del 1922 nacque la Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali che gettò le basi del sindacalismo fascista. L’idea era quella di superare la lotta di classe in favore della collaborazione di classe. Altro scopo era quello di far prevalere l’interesse comune nazionale nei confronti degli interessi di categoria e\o del singolo lavoratore.
Il sindacalismo alla fine della Seconda Guerra Mondiale
Alla fine della Seconda guerra mondiale le corporazioni vennero sciolte e le organizzazioni che erano nate prima del fascismo ripresero la loro attività di tutela dei lavoratori e a cui venne data legittimità dalla Costituzione Italiana, nello specifico dagli articoli 39 e 40 che sanciscono la libertà di organizzazione sindacale e il diritto di sciopero.
Nella Costituzione è presente anche l’articolo 46, mai realmente applicato in Italia, che sancisce invece il diritto dei lavoratori alla gestione dell’impresa.
Lista delle organizzazioni sindacali arrivate fino ad oggi:
- la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL)
- la Confederazione Italiana dei Sindacati dei Lavoratori (CISL)
- l’Unione Italiana del Lavoro (UIL)
- la Confederazione Italiana Sindacati Nazionali dei Lavoratori (CISNAL, ora Unione Generale del Lavoro, UGL)
Gli anni ’50
Negli anni ‘50 mentre la CGIL continuava a portare avanti la lotta di classe e la politicizzazione delle masse, CISL e UIL erano orientati verso la contrattazione aziendale. Questo periodo viene definito “fase della memoria” in quanto le Organizzazioni vivono una totale mancanza di innovazione e attuano istituti che risalgono alla contrattazione collettiva degli anni precedenti.
Gli anni ’50, caratterizzati dal boom economico, segnano anche l’inizio delle contestazioni studentesche e degli scioperi dell’autunno caldo, che coinvolsero molto le Organizzazioni Sindacali. I partiti politici furono i primi a voler coinvolgere i sindacati, in particolare Democrazia Cristiana e socialisti (che oggi potremmo identificare come centro sinistra) concordarono sull’impegno concreto verso la questione sociale e una maggiore partecipazione sindacale anche alla programmazione economica del nostro del paese.
Gli anni ’70 del sindacalismo
Nel 1970 vi fu l’emanazione della Legge 300 conosciuta come Statuto dei Lavoratori, che segna l’inizio di una fase di consolidamento delle Organizzazioni Sindacali e dei diritti dei lavoratori.
Lo Statuto ha una doppia funzione: la prima è quella di tutelare i diritti dei lavoratori, la seconda quella di riconoscere i più basilari diritti sindacali. La legge 300 del 1970 è composta di 41 articoli, suddivisi per categorie:
- la libertà e dignità dei lavoratori (art. 1-13),
- la libertà sindacale (art. 14-18), l’attività sindacale (art. 19-27),
- disposizioni varie e generali (art. 28-32),
- il collocamento (art. 33-34)
- le disposizioni finali e penali (art. 35-41)
Gli anni ’80
Gli anni Ottanta si aprono con uno dei più grandi scioperi che si ricordino in Italia, quello dei colletti bianchi della FIAT. L’azienda infatti annunciò licenziamenti per 14.000 lavoratori e cassa integrazione per 23.000. Passò alla storia come la “marcia dei 40.000” e durò 35 giorni.
La marcia rappresentò una svolta nelle trattative che si conclusero pochi giorni più tardi con un compromesso. La FIAT ritirò infatti i licenziamenti ma mantenne la cassa integrazione a zero ore.
Gli anni ’90 del sindacalismo
Negli anni ‘90 le Organizzazioni Sindacali vivono un periodo di crisi di rappresentatività, i lavoratori contestano accordi firmati negli anni precedenti, il divario tra rappresentanti di fabbrica e apparato sindacale diventa sempre più ampio e si diffonde tra i lavoratori un senso di sfiducia generalizzato nei confronti dei sindacati.
Proprio nel decennio che precede gli anni duemila, si firmano due importanti documenti.
Il patto per il lavoro (1996) e il patto per lo sviluppo e l’occupazione (1998).
Con i Patto per il lavoro si afferma l’importanza della concertazione tra sindacati e governo. Mentre il patto per lo sviluppo e l’occupazione è più incentrato sulla necessità di raggiungere obiettivi di sviluppo economico e crescita occupazionale.
Gli anni 2000
Negli anni duemila nascono quelle che ancora oggi conosciamo come “relazioni industriali” ed è quella rete di rapporti che intercorrono tra datori di lavoro, associazioni datoriali, consulenti del lavoro e sindacati dei lavoratori.
In quegli anni aumentano anche le esternalizzazioni ed il lavoro autonomo, che integrano i rapporti di lavoro classici ossia quelli di lavoro subordinato. Nascono anche le collaborazioni coordinate e continuative e i lavoratori autonomi occasionali.
Tra gli anni 2000 e 2010 i rapporti tra sindacati e datori di lavoro cambiano nuovamente sostituendo alla concertazione sindacale il cosiddetto dialogo sociale. In quegli anni solo CISL e UIL senza CGIL firmano il Patto per l’Italia-Contratto per il lavoro. Il motivo per cui CGIL non firma tale documento si fa risalire al fatto che il governo di allora volesse modificare l’articolo 18 dello Statuto di Lavoratori. Infatti resta nella storia lo sciopero generale indetto da CGIL nel 2002 dove la maggiore Organizzazione riesce a portare in piazza 3 milioni di persone in difesa dei diritti dei lavoratori e dell’articolo 18.
Il 2006 vede una ripresa della contrattazione tra parti sociali e governo, con la vittoria e l’ascesa al governo della coalizione di centro-sinistra. Proprio in quegli anni però, gli interventi legislativi segnano una frammentazione del mondo del lavoro, con una miriade di nuovi contratti, specie a termine, che di fatto segnano l’inizio di un periodo di precarietà per i lavoratori, che tuttora permane.
Nel 2014 viene firmato un importante accordo inter-confederale, ossia tra le diverse confederazioni sindacali, CGIL, CISL e UIL a cui aderisce anche UGL. L’accordo è il Testo Unico sulla rappresentanza. Tale accordo definisce i termini della rappresentatività sindacale, il diritto alla rappresentanza aziendale e l’efficacia del contratto collettivo.
Tale accordo prevede la legittimazione dei soggetti che possono sottoscrivere i Contratti Collettivi Nazionali (CCNL) e che ove siano presenti in azienda RSU non possano essere nominati RSA di altre organizzazioni sindacali. Viene infine stabilita l’efficacia e l’esigibilità dei contratti collettivi nazionali e aziendali.
Un testo che ha modificato i termini di rappresentanza e rappresentatività all’interno dell’azienda ma che non sempre ha agevolato le maggiori confederazioni italiane, lasciando spazio di manovra per organizzazioni sindacali che fino ad allora erano rimaste nell’angolo.
Nel 2015 il governo presieduto da Matteo Renzi vara il cosiddetto Jobs Act una riforma del lavoro che apre una fase di forte tensione tra sindacati, che vedono in tale riforma una precarizzazione del lavoro, e governo, che non retrocede e approva la Legge.
Nel Jobs Act sono presenti molte novità che rendono sempre più instabile la figura del lavoratore, con sempre meno diritti di fronte ai datori di lavoro che diventano ancor di più la parte forte nel contratto di lavoro.
I lavoratori solo se fortemente uniti possono fare la differenza.
È diritto di ogni lavoratore scegliere di iscriversi ad un sindacato, senza che il datore di lavoro possa giudicare questa scelta.
Peraltro molti lavoratori non sanno che anche i datori di lavoro hanno il loro “sindacato”, ovvero le cosiddette associazioni datoriali che tutelano i diritti delle aziende e che curano i rapporti con le parti sociali e le istituzioni.
Pertanto, se le aziende sono iscritte e hanno diritto ad essere tutelate dal loro sindacato, perché mai il lavoratore dovrebbe avere timore a scegliere di iscriversi ad un sindacato che lo tuteli?
Terminiamo con questa domanda sperando che induca una riflessione.